domenica 9 febbraio 2014

Il fatalismo e il nichilismo come surrogati delle religioni.

William Blake: NewtonSe c’è una cosa che l’uomo non imparerà mai è vivere in totale indipendenza con il suo essere senza tirare in ballo “forze esterne”. Che queste siano un Dio, una filosofia, uno stile di vita, la natura o la scienza, poco conta.

Dopo l’illuminismo sembrava auspicabile per l’umanità un rapporto più diretto con l’esperire; tuttavia ,anche a distanza di secoli, ciò non è avvenuto. Dio non è certo morto come recitava il famoso passo di Friedrich Wilhelm Nietzsche, al limite si è diviso in tanti pezzettini, creando anche delle “religioni invisibili”.


Uno di questi pezzi risiede sicuramente nel fatalismo e in un determinato nichilismo senza sostanza, molto in voga ai giorni nostri (sembra quasi diventato una moda). Spesso spacciato addirittura come pseudo-scienza. Infatti il fatalista moderno associa tutto ai propri studi acerbi, ispirati dalle varie scienze, con l’obbiettivo di promuovere il suo messaggio, il quale può essere brevemente tradotto come: “siamo solo materia, la nostra vita non ha valore ed è solo un errore di percorso il nostro pensiero elaborato e tutto quello che ne consegue”.

Premesso che in un certo senso il discorso è in parte condivisibile (per maggiori approfondimenti vi rimando ad un mio vecchio post, basta cliccare qui), il problema risiede nell’esposizione di questo e nelle motivazioni intrinseche, le quali esulano la ricerca per affidarsi ad un credo. Infatti affermare che determinate cose esistono per motivi precisi, a prescindere da quali essi siano, è affidarsi ad un’intuizione, ad una sensazione; magari rafforzati da studi superficiali, in uno strano gioco per dar adito alla propria voce.

NichilismoDoveroso è aprire una parentesi proprio riguardo a questo uso sconclusionato della scienza per dare valenza alla propria filosofia. La maggior parte degli scienziati non è né fatalista, né nichilista, sono semplicemente osservatori e studiosi, o almeno, questo è l’atteggiamento auspicabile. Studiare chimica, ad esempio, non vuol dire dare un significato al creato. Tutte le conclusioni che ne derivano sono nostre semplici interpretazioni di dati. 

Riguardo sempre a tale materia, è ben accertato che l’amore è un processo chimico. Ma allora ciò vuol dire che gli scienziati hanno smesso di amare perché hanno scoperto questo? Non mi sembra. Tutto dipende da un nostro approccio mentale l’accettare il fatalismo e il nichilismo, proprio come credere in Dio. Ti convinci che la vita non ha un senso, e questa ad un tratto non ha senso; ti convinci che Dio esiste, e Dio appare; c’è chi giura addirittura di ascoltarlo.
Il fatalista potrebbe controbattere che l’amore nasce come semplice processo evolutivo, come meccanica conseguenza, ed è per questo impossibile da sfuggire. Ed è proprio questa argomentazione a stanare la superstizione. Se si pensa che ci sia un processo, un ordine costituito dal volere naturale si continua a credere, perché non ci sono prove al riguardo. Anche la scienza va cauta nell’affermare questo, e ripeto, offre dei dati, non un’interpretazione del mondo.

Sia chiaro, non sono contro il fatalismo e il nichilismo. In parte, anche se acerba, la loro visione è certamente più lucida di quella della maggioranza della popolazione. Ma quando queste intuizioni diventano un atteggiamento, una dispersione di energie in parole e non fatti; si vanifica così la possibilità di realizzazione dell’individuo, rischiando di diventare semplice alimento per il proprio egocentrismo.
 
Arthur SchopenhauerIn questo argomento c’è un ulteriore precisazione da fare. Solitamente viene usato come cavallo di battaglia Arthur Schopenhauer per alimentare il proprio nichilismo, tuttavia spesso in questi casi molto probabilmente si è letto poco (e male) del grande filosofo tedesco. La Volontà rappresentata da Schopenhauer non è da intendere come un surrogato di Dio, è bensì invece da vedere nell’ottica di un disegno naturale, cieco e senza leggi.

Fin qui il discorso con il fatalismo potrebbe anche non essere in contraddizione con il filosofo, se egli non affermasse la possibilità di emanciparsi da questa Volontà. E il modo per farlo è quello di abbandonare la propria individualità. Cosa molto difficile per i fatalisti e i nichilisti, i quali prendendo consapevolezza della loro natura si sentono destinati e impotenti. Proprio riguardo questo particolare ho un sviluppato un mio personalissimo parere nel rivalutare Schopenhauer come uno degli uomini più positivi della storia della filosofia anziché come icona del pessimismo, ma su questo forse scriverò in futuro.

Ultima analisi, ma non meno importante, il fatalismo e il nichilismo sono una reazione al non senso della vita, una sorta di caduta dal mondo dei sogni a quello della realtà. L’impossibilità di trovare un senso brucia le aspettative del fatalista, il quale come reazione si chiuderà nel suo guscio di teorie nichiliste. Mettendo così in primo piano, elevandolo a metro di paragone, il senso venuto a mancare. Tuttavia proprio perché la vita non ha né un disegno, né un senso, è interessante viverla. Ma questo è difficilmente comprensibile quando l’ego, affarista e pieno di congetture, prende il sopravvento, oscurando la realtà. 

Riassumendo il concetto: fatalismo e nichilismo portati all’estremizzazione non sono altro che modi per fuggire dalle proprie responsabilità e difficoltà di fronte ad una vita inconcepibile per il nostro ego. Ma se da una parte il religioso si rifugia nella sua fede in Dio nella speranza di uscire da questa situazione; il fatalista e il nichilista si accomodano dentro, nell’idea di preservare il loro ego e le loro certezze, le quali rendono la loro vita più sopportabile. Perché l’essere umano si tranquillizza solo in due casi: quando non vuole sapere (fede nell'ignoto) e quando pensa di sapere (certezza nel conosciuto). Mentre c’è una terza via, la più dolorosa, ovvero quella che non è di fronte a specchi, non riflette immagini speculari, ma avanza senza fermarsi mai, passo dopo passo, nella totale incertezza, senza giudizio definitivo, in piena sintonia con la casualità e il sottile delirio della vita stessa.

Prendendo la palla al balzo vi pongo una domanda divertente prima di chiudere il post. In generale diamo per scontato che la natura abbia meccanismi istintivi, ciechi e indifferenti, atti solo all’espansione di se stessa; così affermava anche lo stesso Arthur Schopenhauer. Ma questo è davvero così o ci piace pensare che sia così? Bel dilemma, no? Fatemi sapere.
(Autore: Gufo Oscuro)
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